Un anno fuori dal web: diario dell’esperienza senza la rete

L’eroe di oggi si chiama Paul Miller, è un web designer come noi e ha vissuto per un anno intero fuori dalla rete. Scopriamo insieme  la sua esperienza dopo un anno di astinenza dal cyberspazio.

Paul Miller, per coloro che non lo conoscessero, è un giornalista (ed ex web designer) del noto giornale The Verge che per lavoro ma anche per curiosità ha deciso di “isolarsi” da internet per un anno intero, vivendo senza le (presunte) distrazioni della rete. L’idea nasce dalla necessità di smentire o confermare le ipotesi di (talvolta autorevoli) studiosi e ricercatori, che affermano da molto tempo quanto la rete possa distorcere la realtà sociale, rendere improduttivo l’individuo e talvolta scatenare vere e proprie manie o “pulsioni”.

Trascorso il suo anno di “isolamento” il rendiconto di Paul non è stato proprio quello che ci si aspettava:

“Mi sbagliavo. Un anno fa ho lasciato Internet. Ho pensato che mi stesse rendendo improduttivo. Ho pensato che mi stesse corrompendo l’anima.”

Secondo il racconto del nostro amico/collega infatti i benefici di tale azione si sono visti solo i primi mesi.  “Staccare la spina” ha reso più facile l’instaurazione di rapporti umani che prima avvenivano tramite canali social. Oltre a questo – sempre secondo Miller –  avendo più tempo libero si ha più spazio per fare sport, e hobby che magari abbiamo accantonato per seguire le nostre attitudini sul web.

Non è tutto oro quel che luccica, infatti dopo poco tempo Miller si accorge che essere lontano da internet porta anche molti problemi:

Verso la fine del 2012 ho scoperto nuovi vizi off-line. Invece di trasformare la noia in creatività, mi sono lasciato andare alla passività e al ritiro sociale. Non guido la mia moto da un anno, il mio frisbee è sommerso dalla polvere, e la maggior parte delle settimane non esco. Il mio posto preferito è il divano, con i piedi sul tavolino da caffè, per giocare a un videogioco.

Oltre a questo Miller tende a precisare più volte nel suo racconto di come in realtà si sentisse “isolato” dal resto del mondo, dai suoi amici e talvolta paradossalmente anche dalla stessa famiglia. Il web infatti permette di interfacciarsi in pochi istanti con persone in giro per il mondo, in pochi semplici click. Lampante a tal proposito l’esempio fatto sul suo migliore amico:

Quando ho smesso di pensare a me come a una persona libera da Internet, ha preso il sopravvento la banalità dell’esistenza offline. Sapete che vi dico? È stato versato tanto inchiostro deridendo il falso concetto di un “amico su Facebook”, ma posso dirvi che un “amico su Facebook” è meglio di niente.
Il mio migliore amico, col quale avevo parlato ogni settimana per anni, si è trasferito in Cina quest’anno e non ho parlato con lui da allora. Il mio migliore amico di New York semplicemente è stato assorbito dal suo lavoro, e non sono riuscito a mantenere il mio scopo: sono finito fuori sincrono con il flusso della vita.

[button link=”http://www.theverge.com/2013/5/1/4279674/im-still-here-back-online-after-a-year-without-the-internet” color=”blue” target=”blank” size=”large”]Leggi la storia su TheVerge[/button]

Un’esperienza davvero molto interessante che mi ha colpito molto, e che vi invito a leggere integralmente nel link sopra-riportato. Speriamo che la rete dopo questo “test su strada” non venga più solo vista come “diavolo tentatore” ma anche come vera e propria opportunità: opportunità di comunicare, di studiare, di lavoro, e di svago. Il mio consiglio? non abbandonate troppo la strada della realtà e usate la rete non per sostituirla ma per migliorarla.

Voi cosa ne pensate?

  1. Da un punto di vista più generale, l’esperimento di questo giornalista dimostra e svela qualcosa di serio e preoccupante che non ha nulla a che vedere con il dibattito “tecnologia sì – tecnologia no”. L’innovazione è tangibile e non si arresta. Inevitabilmente si apre alla critiche di chi si appella ad un certo approccio conservatore. Il nuovo porta con sè nuovi problemi, non perchè sia in sè qualcosa di negativo, ma semplicemente perchè è nuovo (e quindi sconosciuto), va sperimentato e va regolamentato. Non dimentichiamoci anche tutti gli aspetti positivi dell’innovazione. In questo caso la possibilità di mantenere facilmente e senza costi relazioni a distanza. Ma il punto, ripeto, non è scegliere da che parte stare: tra i detrattori o tra i sostenitori del web. Il punto è che la frenesia, la continua esposizione a stimoli (dal web o da parte di altre cose più fisiche) ci ha trasformato in meri esecutori che seguono la scia delle mode in fatto di abitudini, attività, modalità di espressione di sè. Non è internet che ci impedisce di stringere relazioni tangibili e profonde: siamo noi che non ne siamo più capaci. Non è internet che ci impedisce di dedicarci allo sport o a qualche hobby: internet è spesso una risposta alla noia, all’incapacità di inventarci qualcosa di concreto da fare. Questo articolo denuncia un problema esistenziale profondo, e la tecnologia ne catalizza alcuni aspetti in modo manifesto, ma non ne è la causa. Ma come al solito, agire in superficie non può certo dare risultati. E nel frattempo si spenderanno fiumi di inutili parole….

  2. Nel novembre del 2012 ho scritto questo articolo in cui auspicavo un ipotetico strumento molto più social e che facesse perdere molto meno tempo: http://opidos.blogspot.it/2012/11/idea-social-network-audio.html
    Nella seconda parte dell’articolo rispondevo alle domande che ogni tanto si sentono del tipo “Ma che bisogno c’è di Facebook? Se un amico vuol parlare con me può sempre telefonarmi”… Le mie considerazioni, per le quali non credo ci vogliano grandi conoscenze sulla comunicazione, né un così “drastico” esperimento, si sposano perfettamente con le conclusioni di Paul Miller.

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